Per sempre…
Una parola forte che temiamo ad usare, che non esiste quasi più nelle nostre vite.
Mi sono chiest,a cos’è che dura così tanto da essere per sempre?
Essere madre e padre, essere figli.
Per sempre siamo madri e padri, siamo figli.
Nel tempo cambia la relazione, si trasforma ma non possiamo cancellare lo stato di genitore o di figlio.
A pensarci bene, ogni adulto che prende a cuore il suo stato di adultità è genitore.
Quando i genitori muoiono siamo orfani, come mi fece notare una cara amica quando morì mio padre.
Fa paura vero? Un po’ sì, ma anche ci radica in una certezza: ci sono cose che sono ancora per sempre.
Questo compito così grande, e che è per sempre, cosa implica?
La genitorialità è un cammino e per questo in continua trasformazione, ci cambia dentro, non è possibile essere genitori e educatori sempre allo stesso modo, cambiamo evolviamo, falliamo, cadiamo e ci rialziamo.
Essere genitori, adulti responsabili di creature in crescita è un’arte, c’è chi è più portato e chi meno, il nostro modo di vedere il mondo passa ai nostri figli, nei primi anni di vita, li struttura.
La nostra parte bambina, gli irrisolti, le nostre fatiche, sono tutti aspetti che contribuiscono in modo conscio o meno alla crescita dei nostri figli.
A volte è necessario un aiuto, uno sguardo esterno, la condivisione, un libro, delle domande che ci accompagnino a scoprire qualcosa in più di noi, per stare meglio nella nostra natura intima e che diano così, una nuova possibilità ai nostri bambini.
Quand’è che diventiamo genitori?
Appena nasciamo, perché iniziamo da lì a interiorizzare “Archetipi genitoriali” precisi, comportamenti, tono della voce, messaggi verbali e non. Sta a noi progressivamente cogliere l’archetipo e diventare via via più consapevoli di cosa passiamo nel nostro agito genitoriale.
Come Genitori e educatori siamo prima di tutto dei decodificatori emozionali.
Cosa vuol dire?
Ad esempio, di fronte a un bambino che si è fatto molto male, non sminuiamo subito o ci allarmiamo enormemente andando in risonanza emotiva, ma lo rassicuriamo prendendo innanzi tutto sul serio il suo sentire e poi, facendo cosa? Comunicando sul sentire del momento, ovvero:
“Raccontami com’è questo male? Dove lo senti? Ma sai che se faccio una piccola magia, un soffio potrebbe migliorare? Sta funzionando? Dimmi un po’, sai indicare dove senti la paura quando arriva? Dove abita nel tuo corpo? Dici che possiamo darle un nome?
Facendo questo semplicemente mettiamo in comunicazione il suo emisfero destro che sente forte il dolore, o la paura, e la sua parte logica, emisfero sinistro, che può raccontare e quindi rielaborare. Quando i due emisferi si parlano, sciolgo, elaboro, dò un nome alle mie emozioni e posso così sostenerle.
Siamo decodificatori emotivi perché il nostro compito di adulti è accompagnare i bambini affinché sviluppino le proprie strategie di autoregolazione delle emozioni.
Per fare questo però, come adulti, ci è chiesto di osservare noi, le nostre emozioni, le nostre reazioni perché da li parte la reazione emotiva dei bambini agli accadimenti della vita. Loro ci osservano e dall’osservazione del mondo si costruiscono una loro griglia di azione-reazione.
Luisella
Luisella Piazza
Consulente Pedagogica
Per approfondire:
- “L’educazione emotiva” Alberto Pellai
- “Esserci” D.Siegel
- “Errori da non ripetere” D. Siegel
- “Organizzati e felici” Daniele Novara
- “Il bambino non è un elettrodomestico” Giuliana Mieli